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Gesù con Marta e Maria

Primo venerdì 1 marzo 2019
Tema: Gesù con Marta e Maria  (Lc 10,38-42)
A cura di Fr. Luciano Manicardi, Priore del Monastero di Bose

L’episodio del vangelo di Luca presenta l’incontro di Gesù con due donne, due sorelle, Marta e Maria. Marta, il cui nome, in aramaico significa “signora”, appare essere la presenza predominante in famiglia, la vera padrona di casa: è lei che esce incontro a Gesù, che lo fa entrare in casa, che lo ospita e che, di fatto, consente anche a Maria di poter incontrare Gesù.

Entrato in casa, Gesù vede Maria che si siede ai suoi piedi ad ascoltare la sua parola. Questo incontro avviene grazie a un atto di ospitalità, ma il testo ci suggerisce di chiederci che cosa significhi ospitare qualcuno. Marta fa entrare Gesù in casa, Maria lo fa entrare in sé grazie all’ascolto. Ospitare significa fare di sé uno spazio per l’altro attraverso l’ascolto. Maria che ascolta la parola di Gesù è immagine di un’ospitalità che non si limita ad accogliere nelle mura di una casa, ma che fa della persona stessa una dimora per l’altro. Ma ecco che la vicinanza di Maria a Gesù sembra ferire Marta che, di fronte all’inerzia (ai suoi occhi) di Maria, è invece tutta presa dalle faccende domestiche. Marta è distratta dai molti servizi e questo la porta a pronunciare parole che susciteranno la correzione, ferma per quanto dolce, di Gesù. Anzitutto si rivolge a Gesù chiamandolo Signore, ma in realtà ergendosi lei a signora che dice a Gesù ciò che lui deve fare.

Le parole di Marta dicono la fatica e le incomprensioni che spesso attraversano i nostri incontri. Anzitutto Marta manifesta la sua frustrazione ed esprime un vero e proprio ricatto affettivo verso Gesù: “Non ti importa …”. Potremmo tradurre: “Non ti sta a cuore di me?”; “Vedi solo mia sorella e non me?”. Quindi c’è l’accusa alla sorella: “Lei mi ha lasciata sola a servire”. Marta però non parla direttamente alla sorella, ma si rivolge a Gesù, al terzo fra le due, all’unico maschio in mezzo a due donne. Lei chiede complicità a Gesù contro la sorella. Le ultime parole sono un imperativo con cui Marta dimostra di voler disporre a piacimento di Gesù: “Dille dunque che mi aiuti”. Non è difficile vedere che per Marta tutto ruota intorno a sé: Non ti importa di me?; mia sorella mi ha lasciata sola a servire; dille che mi aiuti. L’incontro diviene difficile, se non impossibile, se una persona si sente il centro del mondo e vuol far ruotare tutto attorno a sé. Ecco allora la risposta di Gesù che, con dolcezza, ma in modo netto rimprovera Marta. Non la rimprovera per il servizio che compie, ma per come lo compie: lasciandosene cioè assorbire totalmente. Marta è agitata, non è nella pace, è affannata e quasi esagitata, così che il suo molto fare, che è un fare per gli altri, si accompagna a mancanza di fraternità verso la sorella e al mancato riconoscimento di Gesù quale Signore. Gesù le rivela che Maria ha scelto la parte buona che non le potrà mai essere tolta. Qual è la parte buona? L’ascolto della parola del Signore.L’ascolto infatti crea la relazione con la persona che parla e conduce a compiere la sua volontà.

L’ascolto crea la qualità di servo. Infatti, non basta servire, fare dei servizi, ma occorre essere servi: Maria, stando ai piedi di Gesù – espressionetecnica che indica l’atteggiamento del discepolo –, si lascia plasmare dalla sua parola, divenendo discepola e serva, come l’altra Maria, la madre di Gesù, che disse: “Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me secondo la tua parola” (Lc 1,38). Del resto, il Servo del Signore di cui parla Isaia è colui che dice: “Ogni giorno il Signore apre il mio orecchio affinché io ascolti come un discepolo” (Is 50,4).

L’atteggiamento di colui che vuole incontrare il Signore nella preghiera è quello di chi dice: “Parla, Signore, il tuo servo ti ascolta” (1Sam 3,9). Con l’ascolto, noi lasciamo che Gesù sia il Signore, altrimenti, con l’attivismo frenetico, finiamo col sentirci protagonisti e divenire noi i signori e padroni. Maria qui non è vero che non fa nulla, in realtà essa fa ciò che è veramente necessario per entrare in relazione con il Signore.

Va poi notato che questa scena riguarda anche la vita ecclesiale. La tensione tra Marta e Maria non è un semplice litigio famigliare, ma riveste una valenza ecclesiale, come appare dal testo di At 6,1 ss., che parla del malcontento sorto nella chiesa di Gerusalemme tra due componenti della comunità: gli ellenisti si lamentano con gli ebrei perché le loro vedove erano trascurate al momento della distribuzione per i poveri. Poiché amministrazione dei beni e organizzazione dei soccorsi spettavano agli apostoli – che non necessariamente erano buoni amministratori –, la soluzione della questione fu trovata assegnando una priorità al servizio della Parola, riservato agli apostoli, e affidando il servizio delle mense ai “sette”, istituiti per l’occasione: infatti, “non è giusto che noi trascuriamo la Parola di Dio per il servizio delle mense” (At 6,2).

Dunque, nessun aut-aut tra servizio e ascolto della Parola, nessuna lettura del nostro testo che insinui una dicotomia tra i due atteggiamenti di Marta e di Maria o vi veda la figura di due tipi di vita opposti – la vita attiva e la vita contemplativa –. Entrambi gli atteggiamenti sono essenziali alla configurazione di una autentica e piena ospitalità e alla vocazione cristiana ad amare Dio e il prossimo. Il problema riguarda il modo del servizio. C’è per Marta, come sempre nella chiesa, la possibilità di un servizio che diventa totalizzante, che distrae dall’essenziale (v. 40), che chiude all’ascolto della Parola e se ne distacca. C’è la possibilità di un servire che diventa cieco perché non vede altro che se stesso e pretende che tutto ruoti attorno a sé; c’è la possibilità di una volenterosa e generosa attività per gli altri che diviene però cattiva e pronta all’accusa: “Mi ha lasciata sola a servire. Dille che mi aiuti!” (v. 40); c’è la possibilità di un servire che diviene un far rumore, un vuoto agitarsi (v. 41), una sorta di militanza incosciente. Il rimedio: ricominciare ogni giorno a porsi all’ascolto obbediente della parola del Signore.

 

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(Don Adriano)