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La preghiera di Simeone (parte 2)

Le forme di preghiera nel racconto di Simeone
1.    “Simeone, uomo giusto e pio, aspettava la consolazione d’Israele” (2,25). Pregare è attendere… attendere è pregare… “elevazione dell’anima a Dio”.
“Simeone era vecchio, aveva aspettato tutta la vita e aspettava ancora. Diventando vecchio, non aveva perso la forza dell’attesa, una attesa lunga quanto la sua lunga vita. Simeone aspettava insieme al suo popolo, il popolo ebraico che è per eccellenza il popolo dell’attesa. Lo era già allora, da alcuni secoli, lo è ancora oggi dopo venti secoli. Nessun popolo è - come quello ebraico - popolo dell’attesa; nessun popolo sa aspettare, come gli Ebrei, colui che deve venire.
Ma anche la Chiesa è popolo dell’attesa: per questo abbiamo quattro domeniche di Avvento, per ricordarci quello che così facilmente dimentichiamo: e cioè che siamo anche noi come gli Ebrei – e in un certo senso: con gli ebrei - popolo dell’attesa. Il popolo cristiano e il popolo ebraico sono entrambi popoli dell’attesa. Con una differenza: che Si- meone e il popolo ebraico aspettano il Cristo, il Messia che deve ancora venire, mentre noi cristiani aspettiamo il Messia che è già venuto. E questo è un grande mistero. Si parla tanto – e giustamente – del mistero di Natale, il mistero della incarnazione di Dio nel bambino di Betlemme: Dio diventa uomo, la parola diventa carne, l’invisibile diventa visibile, l’inaccessibile diventa accessibile, l’eternità diventa tempo, l’infinito diventa fini- to, l’immortalità diventa mortale… Grande mistero” (Paolo Ricca, Dal Vangelo di Luca 2, 25-33).
“Dio, tu hai scelto di farti attendere tutto il tempo di un Avvento. Io non amo attendere. Non amo attendere nelle file. Non amo attendere il mio turno… Non amo attendere il momento opportuno. Non amo attendere un giorno ancora. Non amo attendere perché non ho tempo e non vivo che nell’istante…. Ma tu, Dio, tu hai scelto di farti attendere il tempo di tutto un Avvento. Perché tu hai fatto dell’attesa lo spazio della conversione, il faccia a faccia con ciò che è nascosto, l’usura che non si usura. L’attesa, soltanto l’attesa; l’attesa dell’attesa, l’intimità con l’attesa che è in noi perché solo l’attesa desta l’attenzione e solo l’attenzione è capace di amare. Tu sei già dato nell’attesa, e per te, Dio, attendere, si coniuga come pregare (Jean Debruyenne, sacerdote della Missione di Francia, 1925-2006).
2.    Desiderare è pregare… la forza del desiderio è preghiera
“Non solo come etimologia (dal latino desidera, mancanza (de) di stelle (sidera, da sidus, sideris = «mi mancano le stelle». «Ho bisogno di qualcosa che brilli per trovare un senso alla mia esistenza»), ma anche come esperienza, il desiderio è una parola carica, evocativa e provocativa… Il termine desiderio viene da desiderantes (participio presente). Indica la mancanza di qualcosa di essenziale, di necessario… Il desiderio, insomma, è l’esperienza di una mancanza, di una debolezza. Ma è anche – ed è qui il suo paradosso – un’esperienza di forza: la forza di una spinta che mi sovrasta e mi supera. Il desiderio è, allo stesso tempo, mio e mi porta al di là di me stesso. Il desiderio è una forza che ci attraversa, ma la sua umanizzazione passa attraverso una crescita: è quando il desiderio diventa appello all’altro, invocazione dell’altro, quando diventa una preghiera: «La vita umana è vita che si rivolge all’altro» (Massimo Recalcati, saggista e accademico italiano, 1959).
L’ultima parola della Bibbia, che racconta tutta la storia di Dio con l’umanità, con Israele, con la Chiesa è: «Vieni Signore Gesù!» (Ap 22,20): l’attesa di colui che deve venire. E’ naturale, qui, l’accostamento a Lc 11,5-13. Tre pani che esigono tre gesti espressi da tre verbi: chiedere, cercare, bussare. In una parola, vale per la preghiera la legge del- l’amore: non arrendersi mai…

 

Padre Domenico Marsaglia

 

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