La paternità di Dio nell’AT e nel NT
Sintesi dell'incontro del primo venerdì 6 ottobre 2017
Tema: La paternità di Dio nell’AT e nel NT
Catechesi di Fr. Luciano Manicardi - Priore del Monastero di Bose.
Diverso è il rapporto originario tra il figlio e il padre e tra il figlio e la madre: la madre è la casa primordiale del bambino che vive nel suo grembo per nove mesi e il rapporto è di simbiosi. Non così con il padre: il padre interviene a distanza ed entra in rapporto con il figlio con la voce e la parola. Ciò che caratterizza il rapporto originario del padre con il suo bambino non è l’avvolgimento corporeo, come avviene per la madre, bensì la voce: il rapporto originario del bambino con il padre si esprime dunque con l’ascolto. Il Dio biblico è padre per Israele perché il rapporto originario del popolo con Dio è di ascolto (“Ascoltate la mia voce allora voi sarete il mio popolo e io sarò il vostro Dio”: Ger 7,23): e l’ascolto è sempre un atto di libertà e di responsabilità, non di schiavitù né di fusione o di immedesimazione. Il Dio Padre chiede che il figlio sialibero e responsabile.
Dire che Dio è padre non significa dire che è maschio e non significa proiettare la sessualità in Dio. Non è un Dio di genere maschile. Anzi, per la Bibbia Dio è padre ma ha anche un cuore di madre. Dio è compassionevole e misericordioso: “misericordioso”, rachum, in ebraico, è parola che deriva da rechem, l’utero, l’organo in cui la donna porta in sé la vita del figlio. Dio è dunque padre, ma è anche madre. Egli consoffre con il figlio e lo ama di amore incondizionato. Dio ha la capacità di un amore incondizionato come quello materno. “Si dimentica forse una donna del suo bambino così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se costoro si dimenticassero, io invece, non ti dimenticherò mai, Israele” (Is 49,14-15).
Ma Dio è padre perché è creatore, perché Israele riconosce di aver ricevuto la vita da Dio: “Non è forse il Signore il padre che ti ha creato?” (Dt 32,6). Ma questo significa che Dio è padre non del solo Israele, ma di tutti i popoli, di ogni uomo. La paternità di Dio è universale e, come un buon padre, “Dio non fa preferenza di persone” (At 10,34), quale che sia la nazione a cui ciascuno appartiene. Dire che Dio è padre è anche affermare la fraternità degli umani, ed è un dichiarare disumana e aberrante ogni discriminazione di razza e genere, ogni affermazione di superiorità naturale di un uomo su un altro.
Essere padre poi non significa sologenerare, ma educare, allevare, far crescere: spendere le proprie energie dando tempo, ascolto, presenza al figlio. Israele esperimenta la paternità di Dio nelle sue azioni che Israele legge nella fede come azioni di un padre: “Quando Israele era fanciullo, io l'ho amato e dall'Egitto ho chiamato mio figlio. … Io gli insegnavo a camminare tenendolo per mano ... Io li traevo con legami di bontà, … ero per loro come chi solleva un bimbo alla sua guancia, mi chinavo su di lui per dargli da mangiare” (Os 11,-4).
Creando,Dio è padre che dà la vita; facendo uscire Israele dall’Egitto è padre che libera il figlio da situazioni di difficoltà, dandogli la Legge è padre che gli indica la via da seguire, ammonendolo con eventi storici di contraddizione è padre che usa la parola di rimprovero e il gesto di correzione, perdonando e usando misericordia è padre che fa prevalere l’amore su ogni altro sentimento. Davvero, Dio è “il Padre misericordioso e il Dio di ogni consolazione” (2Cor 1,3).
Ma se Dio è padre di Israele e di tutta l’umanità, c’è un uomo, Gesù di Nazaret, che ha compreso, vissuto e rivelato la paternità di Dio come nessun altro e in modo pieno. Tanto che egli può dire:“Chi ha visto me ha visto il Padre” (Gv 14,9). Gesù si rivolgeva a Dio chiamandolo abbà, “papà”, con il vocabolo proprio del linguaggio infantile con cui i bambini in tenera età si rivolgevano al padre. Chiamare Dio abbà vuol dunque dire entrare in un rapporto di fiducia, confidenza e libertà piena. Ma questo è richiesto anche a noi cristiani: “Avete ricevuto uno Spirito di figli per mezzo del quale gridiamo abbà, papà” (Rm 8,15). E rivolgerci a Dio come padre, e lo facciamo tutti i giorni con il Padre nostro, significa assumere almeno tre atteggiamenti profondi:domandare con libertà nella certezza di essere amati e nella certezza di essere ascoltati.
Paternità significa anche vulnerabilità. Il Dio Padre è il Dio che ama e che perciò soffre, è il compassionevole: colui che ama, soffre. Nel dolore, nelle situazioni a cielo chiuso, quando siamo tentati di disperare, noi abbiamo qualcuno a cui rivolgerci per attraversare la valle di dolore in cui ci troviamo.
Per vivere la filialità seguendo Gesù, Colui che ci racconta Dio Padre, vi consiglio di leggere i vangeli chiedendovi qual è l’umanità di Gesù per assumerla nelle vostre vite. Come vive Gesù? Con che parolee gesti racconta la paternità di Dio? Che umanità esprime Gesù nel suo parlare, nel suo agire, nei suoi incontri? Perché così egli rivela il Padre. Che umanità abita colui che entra nel Tempio e ne scaccia i venditori degli animali per i sacrifici? Colui che rimprovera i suoi discepoli che allontanano i bambini, mentre lui li abbraccia con tenerezza? Colui che accoglie pubblicani e peccatori e mangia con loro? Colui che pronuncia parole potenti come le beatitudini? Colui che si scontra con le autorità religiose pur di difendere il primato della volontà di Dio e il diritto dei poveri? Colui che osserva la natura traendone insegnamento e consolazione? Colui che incontra tanti malati nel corpo e nella psiche curandoli con dispendio di tempo ed energie? Questo non è tanto un esercizio di lettura, ma di conversione, per cambiare il nostro cuore, la nostra umanità, a immagine di Gesù, colui che ha rivelato il volto del Padre, quel volto che nessuno ha mai visto, ma che può rifulgere nelle nostre vite, di noi creati a sua immagine e somiglianza. Di noi che, in Gesù Cristo, il Figlio, siamo figli di Dio.