La preghiera al cuore delle relazioni - parte 1
La preghiera, apertura alla comunione con Dio
Inizio questo itinerario di preghiera nel ricordo di san Paolo VI che, più volte, ha richiamato questa verità fondamentale: “La Chiesa ha come suo scopo primario di insegnare a pregare” (Udienza Generale, 20 luglio 1966); e di San Giovanni Paolo II che ha scritto: “C’è bisogno di un cristianesimo che si distingua innanzitutto nell’arte della preghiera” (NMI 32). Quando una persona prega, si trova al cuore del proprio essere persona: ha la giusta percezione di se stessa, vede la propria realtà, ritrova il proprio volto di creatura di Dio. La preghiera è la posizione più vera della persona davanti a Dio: il gesto più realista, più completo, più vero. La preghiera rivela la nostra realtà autentica, la delinea e la costruisce.
Per questo
Pregare non è un’imposizione, è un dono; non è una costrizione, è una possibilità; non è un peso, è una gioia. La preghiera è il respiro dell’anima. Deve abbracciare tutto ciò che fa parte della nostra vita. Tutto deve trovare in essa la propria voce” (Gianfranco Ravasi, Mattutino). Pregare, quindi, è una forma di dono. Non si tratta di efficacia, ma di amore. Chi prega è lì per gli altri. E’ lì per abitare il respiro di Dio e farlo entrare nel mondo. Pregare è un atto di libertà, di amore, di gioia, di intimità, di vita. Quando parlava della preghiera, san Giovanni Paolo II ricorreva, volentieri, all’immagine del respiro. Si tratta di un simbolo costantemente utilizzato nella spiritualità. Un filosofo, teologo e scrittore danese (Soren Kierkegaard 1813-1855) annotava nel suo diario: “Giustamente gli antichi dicevano che pregare è respirare. Qui si vede quanto sia sciocco chiedersi il “perché”?
Perché io respiro? Perché altrimenti muoio. Così è con la preghiera”. La nostra vita interiore è così delicata, fragile e asfittica: forse, ci manca quel continuo e allenato respiro orante che dà energia alla nostra coscienza e alla stessa esistenza. Padre Yves Congar, dei frati predicatori, teologo e cardinale, diceva: “Con la preghiera riceviamo l’ossigeno per respirare. Con i sacramenti ci nutriamo. Prima del nutrimento, però, c’è la respirazione e la respirazione è la preghiera”.
Alla sorgente della preghiera (cfr Ef 1,3-14)
Il punto di avvio per una riflessione corretta sulla preghiera è una prima sorpresa, una realtà che dobbiamo riconsiderare con attenzione. In principio non c’è la preghiera. La preghiera non è il primo atto dell’uomo, non è la prima esperienza della persona umana. Prima c’è un’autentica scoperta: Dio esiste ed esiste in quanto (è) Padre. Prima c’è una scoperta e una esperienza: l’amore del Padre.
Prima c’è la consapevolezza e lo stupore: Dio mi ama personalmente. In principio c’è la gioiosa scoperta dell’Amore: la sorgente della preghiera e della fede e di tutta la religione sta in questo amore di Dio per me. Nella preghiera, l’amore ricevuto ha la priorità sull’amore dato, come scrive san Giovanni: “In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è Lui che ha amato noi... Noi amiamo, perché Egli ci ha amato per primo” (1Gv 4,10.19). Richiamo, spesso, l’insegnamento di san Tommaso d’Aquino: “Dio ci precede, ci anticipa sempre!”.
Leggo la biografia del beato martire Pierre Claverie, domenicano, vescovo di Oran in Algeria (1938-1996) (cfr Jean-Jacques Pérennès, Vescovo tra i musulmani - Pierre Claverie martire in
Algeria, Città Nuova, 2004). Padre Pierre predicava spesso sulle Beatitudini. Amava ripetere che ne aveva inventata una, che precede e condiziona tutte le altre: “Beati coloro che scoprono di essere amati”. Prima di parlare della fede religiosa, pensava, bisogna partire da una realtà umana fondamentale: un essere umano non si sviluppa e non cresce in modo normale se prima non fa esperienza di essere amato, e di sentire che gli si dà fiducia; questo, a sua volta, gli permette di dare fiducia agli altri. Ogni persona diventa capace di amare perché, prima, è stata amata. Senza questa esperienza primaria, l’uomo vive nella paura e nella angoscia, mentre, se gli si dà fiducia, può svilupparsi in pienezza. La fede cristiana conduce il credente a vivere il rapporto con Dio in questo clima di fiducia: Dio ha creato l’uomo per amore ed è il primo a dargli fiducia, donandogli la libertà.
Il Beato Pierre Claverie insegnava: l’atto di fede o di fiducia è un’azione “transitiva”, quindi è una relazione, un modo di essere verso qualcuno. Di conseguenza, più che “aver” fiducia, “si dà” fiducia; è più corretto dire si “dà” fiducia, che dire si “ha” fiducia! Dio dà fiducia a noi e, attraverso atti concreti, continua a manifestare la sua volontà di fiducia verso di noi, la sua volontà di darci fiducia. Pregare, allora, è entrare in una “struttura” di fiducia, nel clima della fiducia: significa opporre alla struttura del sospetto e della paura, anche nei confronti di Dio, il sistema della fiducia e dell’amore. “Nell’amore non c’è timore…” (1Gv 4,18).
padre Domenico Marsaglia