La preghiera al cuore delle relazioni - parte 7
La preghiera: apertura alla comunione con il prossimo
Gesù non ha insegnato delle formule da ripetere, ma ha rivelato un modo di stare davanti a Dio, un modo di stare con gli altri e di vivere nel mondo. Chi entra nella preghiera con fiducia ne è trasformato: la preghiera educa, forma, trasforma, impegna, diventa luogo di discernimento e di impegno, fino a condurre a una rete di relazioni, dove la dimensione verticale è inseparabile da quella orizzontale. La preghiera ci libera dall’egoismo e dalla solitudine, e ci apre al mistero della comunione con Dio e il prossimo. Pregare è uscire dal chiuso per vivere con Gesù la sua stessa avventura. E’ l’esperienza del beato martire domenicano Pierre Claverie, vescovo di Oran (Algeria) già ricordato: “Un giorno, Dio si è imposto alla mia attenzione. Egli ha fatto esplodere il mio mondo chiuso”.
Per questo, il primo effetto della preghiera cristiana è l’espropriazione di se stessi. Pregare bene, in modo vero, fa uscire da se stessi, libera dai propri vincoli per aprirsi al dono della preghiera. Il peccato consiste nel voler fare di se stessi il centro del mondo, voler essere ciò che siamo, solo per se stessi, dinanzi agli altri e a Dio. La preghiera, invece, è il riconoscimento di Dio e dei fratelli: io sono di Dio, mio fratello è di Dio; a ogni persona, a ogni essere che respira io devo venerazione perché è realtà sacra.
La preghiera è sempre espressione e interprete totale della storia e del mondo. Non esiste preghiera privata: non è preghiera quella di chi parla a Dio dei propri “affari privati”… Questo va detto con fermezza, perché siamo ancora molti a voler privatizzare la preghiera che, invece, per sua natura, è sempre universale. La preghiera non si esaurisce nell’individuo, anche quando prega da solo, e chi prega non può mai rinunciare alla condizione comunitaria, connaturale ad ogni persona umana. Non si può pregare, non si può neppure iniziare la preghiera, senza entrare subito in sintonia con la dimensione uni- versale. In questa prospettiva crolla ogni individualismo. Preghiera personale o individuale, sì! Preghiera individualistica, no!
Si dice che la preghiera è un modo facile per delegare Dio ad assolvere i nostri compiti... Nulla di più falso. Nella preghiera si diventa simili a Dio nel suo modo di pensare, nei suoi desideri, nel suo comportamento. E’ questo il modo con cui Dio risponde alle nostre domande. In questo senso, la preghiera è sempre esaudita. La preghiera che non coinvolge totalmente la persona, impegnandola senza riserve, che non si fa realtà viva, cessa di essere preghiera. “Una preghiera individualistica e intimistica, che rende sordi al fratello, non è preghiera: è la sua odiosa caricatura. Se vedi qualche uomo di preghiera che non ha rispetto per gli altri, dissacra i fratelli, vomita chiacchiere, calunnie, pettegolezzi, insinua sospetti, si rende complice di ingiustizia, eppure “in chiesa è tanto devoto”, non illuderti: quei gesti, quelle genuflessioni, quei sospiri sono sacrilegi e quelle preghiere sono bestemmie” (Alessandro Pronzato, Ho voglia di pregare, Gribaudi, 1974).
La preghiera cristiana non può condurre al disimpegno, né alla pura ricerca di una soluzione teorica ai problemi della vita. Oggi, purtroppo, spesso si ricorre ad essa per ottenere un benessere interiore, per sentirsi tranquilli o in pace, senza alcuna ricerca di spiritualità e senza il desiderio di instaurare un’autentica relazione con Dio. La preghiera è luogo del discernimento, perché, insegna S. Agostino, in essa l’uomo spezzetta il suo cuore andandone in profondità e cogliendo quanto in esso vi è di altruismo e di egoismo.
E’ il salto di qualità che ogni cristiano è chiamato a fare nella preghiera: pregare per cambiare se stesso, pregare per riuscire ad amare sempre di più. “Troppe gole, più o meno sacre, sono diventate rauche a forza di magnificare Dio e non hanno saputo serbare un filo di voce per difendere l’uomo. Troppe persone pie, a furia di ripetere: “Mio Dio ti amo”, socchiudendo gli occhi, si sono abituate a tenerli implacabilmente chiusi e non li riaprono neppure quando c’è un fratello che viene schiacciato o un poveraccio che tende la mano. Troppi uomini di preghiera hanno l’impressione di essere diventati cittadini delle nuvole, tanto da non essere neppure sfiorati dai terremoti della terra” (Alessandro Pronzato, ibid.).
padre Domenico Marsaglia