La preghiera di Simeone (parte 3)
Le forme di preghiera nel racconto di Simeone
3. “Simeone lo accolse tra le braccia” (2,28): pregare è accogliere la novità di Dio.
Un vecchio abbraccia un bambino: sono due generazioni che, in qualche modo, si passano il testimone. Il vecchio abbraccia il bambino e sa di abbracciare il proprio futuro, la continuità della sua vita. Lui ha sperato, ha creduto: ora la sua speranza è qui, piccola come un bambino, ma piena di vitalità e di avvenire. L’episodio ha in sé qualcosa di fortemente umano: è l’icona dell’uomo che gioisce del fatto che qualcuno continui la propria opera; gioisce del fatto che, anche nella propria decadenza, vi sia un risveglio, un rinnovo, qualcosa che va avanti. Se il brano ci insegnasse anche soltanto questo, sarebbe già molto valido per la nostra vita. Non è facile che il vecchio che c’è in noi accolga il nuovo.
Il vecchio Simeone che abbraccia un bambino rappresenta ciascuno di noi di fronte alla novità di Dio. La novità di Dio si presenta come un bambino e noi, con tutte le nostre abitudini, paure, timori, invidie, preoccupazioni, siamo di fronte a questo bambino. Lo abbracceremo, lo accoglieremo, gli faremo spazio? Questa novità entrerà davvero nella nostra vita o piuttosto tenteremo di mettere insieme vecchio e nuovo, cercando di lasciarci disturbare il meno possibile dalla novità di Dio? «Signore, fa’ che ti accolga come la novità nella mia vita, che non abbia paura di te, che non ti misuri con i miei schemi, che non ti voglia incasellare nelle mie abitudini mentali e che mi lasci trasformare dalla novità della tua presenza. Fa’, o Signore, che, come Simeone, io ti accolga nella tua novità, in ogni cosa che, intorno a me, è vera, nuova e buona. Che io ti accolga in tutti i “bambini” di questo mondo, in ogni vita, in ogni fermento di novità che tu metti intorno a noi, nella nostra società, nel mio cuore»
(Carlo M. Martini, La scuola della Parola, Bompiani, pag. 126).
4. “I miei occhi hanno visto la salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli” (2,30-31). Pregare è vedere la salvezza di tutti i popoli.
La struttura della preghiera di Simeone è molto semplice. C’è una richiesta: «Ora puoi lasciare che il tuo servo vada in pace, secondo la tua parola»; poi la motivazione: «perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli, luce per rivelarti alle genti e gloria del tuo popolo Israele». È una preghiera che suppone una grande tensione interiore, una sofferenza vissuta per tutta la vita. Suppone che questo uomo di fede abbia vissuto la sua esistenza, camminando da giusto e timorato di Dio, senza mai vedere l’oggetto della sua speranza.
Ora può pregare così perché, per molti anni, ha desiderato la gloria del suo popolo. L’ha visto umiliato, afflitto, oppresso e ha sperato. Ha atteso di vedere la Luce che illumina tutte le genti, promessa da Isaia mentre le nazioni calpestavano Israele. Ha visto la crudeltà, l’orrore delle nazioni e ha sofferto nel dolore e nel desiderio. Ora, però, vede! Vede un bambino e parla di salvezza. Fa un’esperienza che agli occhi di altri significa nulla, ma che in lui, illuminato dalla fede e dallo Spirito Santo, significa «vedere la salvezza». L’attesa si è sciolta nella contemplazione della salvezza.
Simeone ha avuto quella grazia che nella Scrittura si chiama «apertura degli occhi» o «apertura del cuore». Nei fatti semplici del Bambino Gesù, portato da Maria e da Giuseppe al tempio, ha saputo cogliere la presenza della salvezza di Dio che si stava manifestando e le sue attese si sono sciolte nella pace. La gloria di Israele non era presente in quel momento, la luce delle genti non si era ancora manifestata alle nazioni, eppure in quel bambino, Simeone vede la salvezza. Nasce la sua preghiera di lode e di ringraziamento. È come se dicesse: «Signore basta! È tutto ciò che ho desiderato, il mio cuore è pieno, tutti i miei desideri sono saziati!».
Padre Domenico Marsaglia